La pandemia da Covid-19 sta mettendo a dura prova molte PMI italiane che si vedono sottoposte ad un forte stress finanziario.
Il mercato con cui dovremo confrontarci, una volta usciti dalla crisi sanitaria, sarà del tutto nuovo e privo di riferimenti. In questo contesto, purtroppo, non potremo che assistere all’acuirsi di problematiche annose per le molte aziende italiane che, già prima della crisi, presentavano una struttura finanziaria eccessivamente esposta verso il canale bancario.
In quest’ottica, un argomento delicato è quello della sottocapitalizzazione che, a prescindere dalla crisi attuale, oltre a rendere l’impresa maggiormente fragile, rappresenta dei potenziali vincoli al suo sviluppo. È prassi, da parte di molti imprenditori, tentare di ovviare a tale problematica mediante il ricorso all’indebitamento bancario, irrigidendo sempre più la struttura aziendale che diventa così incapace di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente in cui opera.
Il sistema bancario adotta modelli di valutazione del rischio d’investimento che si focalizzano sulla capacità di rimborso dell’impresa finanziata. Nel momento in cui la banca decide di finanziare un progetto ad alto rischio, essa deve accantonare ingenti somme a copertura di un’eventuale insolvenza; accantonamento che peggiorerà, però, la sua reddittività. Questo approccio porta inevitabilmente ad una certa diffidenza (specialmente in questo periodo) nel finanziare progetti di sviluppo lungimiranti e innovativi che, spesso, comportano un rischio maggiore, privilegiando investimenti in settori con dinamiche già conosciute, per i quali si è in grado di monitorare l’andamento ed effettuare previsioni.
Proprio per queste ragioni, aprire all’immissione di nuovi capitali sotto forma di equity, per molte imprese, potrebbe essere la chiave di volta per riuscire a superare la crisi.
Chi investe in capitale di rischio ha un approccio molto diverso rispetto a quello del sistema bancario.
Tali soggetti sono alla ricerca di opportunità per la produzione di valore, sia in termini operativi / industriali (creazione di economie di scala, accesso a canali distributivi e a nuovi mercati, ecc.) e sia in termini finanziari, come ad esempio l’investimento in un mercato che presenta ampie e rosee prospettive di crescita.
D’altro canto, con l’ingresso di nuovi soci finanziatori il sistema di governance tipico di molte PMI è costretto ad evolversi verso una maggiore condivisione e managerializzazione. Uno dei principali vincoli all’allargamento delle compagini societarie risiede spesso proprio nella riluttanza, da parte dell’imprenditore, di accettare l’ingresso di nuovi soci e/o manager all’interno della propria azienda, storicamente gestita in ambito familiare e, di conseguenza, a cedere una quota di potere gestorio a figure terze.
Qualora l’imprenditore, invece, dovesse decidere di aprirsi ad un nuovo processo di espansione, diventa fondamentale affidarsi a professionisti in grado di guidare la direzione nell’esplicitare i punti di forza e di debolezza dell’impresa, i suoi progetti di sviluppo e quelle che possono essere le reali prospettive, anche in termini di ritorno finanziario. Il potenziale nuovo socio, che sia esso un partner industriale o un fondo di private equity, ha bisogno di comprendere a fondo i risultati aziendali e di conoscerne il business.
Per i suddetti motivi sarà necessario comunicare il valore dell’azienda e le sue prospettive con un linguaggio efficace, tecnico e concreto. Uno strumento molto utile a cui può lavorare il professionista è l’information memorandum, ovvero un documento strutturato che presenta l’azienda (o il gruppo di riferimento) che l’imprenditore è disposto a cedere, parzialmente o integralmente, descrivendone l’organizzazione, le strategie, il business, i risultati ma soprattutto le prospettive, facilitando così l’avvicinamento dei nuovi investitori.